Escludere l'emozione è un errore teorico, idolatrarla è un errore metodologico
- Matteo Manzi
- 3 giorni fa
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Una riflessione sul design biofilico oltre la nostalgia e il sentimentalismo

Tra mito, marketing e misure
Nel mondo del design biofilico, capita molto spesso di imbattersi in narrazioni che oscillano tra il romantico e il nostalgico. Si parla di "ritorno alla natura", di riconnessione con ambienti originari, di un passato in cui vivevamo in armonia con il mondo naturale. Questa narrazione poetica e idilliaca affascina, emoziona, e soprattutto, vende. Ma è anche una visione penso decisamente parziale (e forse dannosa). Ciò che manca, spesso, è la consapevolezza che il benessere ambientale non deve per forza fondarsi su un mito per essere reale e misurabile.
Oltre la nostalgia: progettare per far star meglio le persone
Il mio approccio si fonda su evidenze, non su evocazioni. Non credo sia sensato progettare spazi che "potrebbero o no essere la culla dell’umanità", ma progettare spazi che abbiano dimostrato di migliorare la salute mentale, l'attenzione, il recupero psicofisico. Questo significa anche accettare che la natura che funziona oggi non debba somigliare a quella che immaginiamo nei racconti evolutivi. Sono da sempre curioso e interessato alle motivazioni profonde delle cose, anche quando si tratta di risposte ambientali: semplicemente, ritengo più utile orientare lo sguardo verso il presente e il futuro, piuttosto che verso un passato idealizzato. L’ipotesi (ben ricordando che rimane un’ipotesi) che un prato possa rilassarmi perché mi ricorda la savana africana non è strettamente rilevante: mi basta sapere, da centinaia di studi, che quel tipo di vista abbassa i livelli di cortisolo. Non è una questione di ideologia, ma di etica della progettazione.

Fisiologia ed emozione: due facce della stessa risposta adattiva
Un possibile fraintendimento potrebbe essere pensare che, parlando di dati, si parli di escludere le emozioni dalla logica progettuale. In realtà, la risposta fisiologica è proprio il fondamento biologico dell’emozione. Tutte le principali teorie della psicologia ambientale mostrano che un contesto ben progettato modifica parametri corporei che poi si traducono in vissuti reali: rilassamento, chiarezza, piacere, senso di sicurezza. Penso però che le emozioni non debbano essere relegate ad aggiunta poetica: sono il prodotto finale di un corpo che sta meglio. Progettare con metodo scientifico significa prendersene cura e far nascere emozioni.
Perché le teorie evolutive non bastano (e forse non servono)
Ci sono almeno tre motivi per cui, pur trovandole indubbiamente stimolanti, non mi affido alle spiegazioni evolutive come fondamento del design biofilico.
Il primo è epistemologico. Le teorie sulla nostra evoluzione ambientale sono ipotesi logiche, non prove scientifiche. Non abbiamo modo di testare in modo diretto il comportamento dell'uomo preistorico. Dunque, affermare che una certa reazione positiva sia dovuta a un "retaggio" non è scienza, è una narrazione suggestiva. La scienza si fonda su ciò che è osservabile, misurabile, ripetibile. Questo non significa che le teorie evolutive vadano scartate: possono essere un punto di partenza, un'ispirazione, ma non dovrebbero essere trattate come dogmi o peggio, come aspirazione.
Il secondo è pratico. Il mondo in cui viviamo oggi è radicalmente diverso da quello in cui ci siamo evoluti. La popolazione aumenta, le città si espandono, la complessità del nostro habitat cresce. Non è realistico pensare a un "ritorno" all'origine. Dovremmo invece accompagnare l'essere umano verso un benessere adattivo, calato nella realtà urbana, tecnologica, connessa. Alimentare una narrativa nostalgica può facilmente contribuire a generare sentimenti di solastalgia, di eco-ansia, di impotenza. Come specialisti del benessere, dovremmo ridurre, non amplificare, questi stati.
Il terzo è culturale e comunicativo. Continuare a legare la biofilia a immagini idealizzate del passato rischia di rafforzare l'idea che sia una disciplina poco scientifica, o peggio ancora, una moda passeggera. Quando si insiste su una narrativa troppo poetica o mitologica, si rischia di minare la credibilità di tutto il settore, alimentando lo scetticismo di chi la vede come una proposta pseudoscientifica. Per contrastare questa deriva, credo sia fondamentale fondare il nostro lavoro su basi solide, accessibili e replicabili.

Verso un'etica progettuale adattiva
Per tutto questo, credo sia il momento di proporre un'etica progettuale nuova, che non abbia come obiettivo il "recupero" di una condizione ideale perduta, ma l'accompagnamento dell'essere umano verso forme più stabili, più sane, nuove e più sostenibili di abitare il mondo. Il design biofilico non è solo accoglienza o bellezza: è un supporto al cambiamento. Un progetto ben fatto non si limita a farci sentire meglio in quel momento, ma semina i presupposti per comportamenti migliori, più consapevoli, più collaborativi e più salutari nel futuro. Non deve quindi solo confortare, ma stimolare, indirizzare, predisporre.
Non bisogna temere le emozioni, né evitarle, ma nemmeno usarle come leva facile per rendere accettabile (e vendere) qualsiasi cosa "sembri naturale". La biofilia non è un'estetica, è un processo e come tutti i processi, va studiato, testato, valutato. La sua forza è nella sua efficacia, non nella sua poesia. Per questo auspico una progettazione con dati oggettivi, ma sempre per generare emozioni vere, durature, non indotte. Perché il benessere non si racconta: si costruisce.
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